In particolare, sino ad oggi, secondo la giurisprudenza prevalente, nel numero minimo di 5 licenziamenti, considerato dalla predetta normativa come sufficiente a integrare l’ipotesi di licenziamento collettivo, non potevano includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del datore di lavoro, “dovendosi intendere il termine licenziamento in senso tecnico, senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti” (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass. 29 marzo 2010, n. 7519)”.
Con la sentenza n. 15401 del 20.7.2020, la Cassazione ha ritenuto, invece, di “superare” il proprio precedente orientamento alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo la quale “rientra nella nozione di licenziamento il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona stessa, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo” (Corte di Giustizia UE 11.11.2015 in causa C-422/14).
Stante quanto precede, la Corte di Cassazione ha affermato che “ai fini del computo dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo” devono includersi anche le “risoluzioni consensuali derivanti dalla mancata accettazione di un trasferimento”.
L’avv. Pozzoli esamina le numerosissime diverse conseguenze di un licenziamento invalido (previste dalle numerose normative intervenute negli ultimi anni) alla luce dei molteplici provvedimenti giurisprudenziali.