Con un articolo pubblicato su ilsussidiario.net il 12.11.2022, l’avv. Angelo Chiello fa il punto della giurisprudenza in materia di registrazioni di conversazioni sul luogo di lavoro.
In sintesi, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che “la registrazione di conversazioni tra presenti all’insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza con conseguente legittimità del licenziamento intimato” (Cass. n. 11999/2018; Cass. n. 16629/2016; Cass. n. 26143/2013). Tuttavia, la normativa sulla privacy permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612). L’utilizzo, dunque, a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra: con la conseguenza della legittimità (idest: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 2 novembre 2021, n. 31204; Cass. 29 settembre 2022, n. 28398; Cass. 10 maggio 2018, n. 11322).