Con la predetta sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 (il c.d. Jobs act), nella parte in cui stabilisce un meccanismo di quantificazione automatica, basato sul solo criterio dell’anzianità di servizio, per il calcolo dell’indennità dovuta al lavoratore nel caso di licenziamento viziato dal punto di vista formale o procedurale.
Richiamando la precedente pronuncia del 2018 n. 194 in materia di licenziamento intimato senza giusta causa o senza giustificato motivo soggettivo o oggettivo, la Corte Costituzionale ha rilevato, in particolare, che “l’anzianità di servizio, svincolata da ogni criterio correttivo, è inidonea a esprimere le mutevoli ripercussioni che ogni licenziamento produce nella sfera personale e patrimoniale del lavoratore e non presenta neppure una ragionevole correlazione con il disvalore del licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, che il legislatore ha inteso sanzionare. Tale disvalore non può esaurirsi nel mero calcolo aritmetico della anzianità di servizio”.
La Corte ha comunque chiarito espressamente che, nel rispetto dei limiti minimo e massimo oggi fissati dal legislatore, il giudice, nella determinazione dell’indennità, dovrà tener conto innanzitutto dell’anzianità di servizio, che rappresenta “la base di partenza della valutazione”. Solo “in chiave correttiva”, con apprezzamento congruamente motivato, il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità dovuta al lavoratore “aderente alle particolarità del caso concreto”.