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Il trasferimento del dipendente ai sensi dell’art. 33 della L. 104/92 non è un diritto assoluto, ma condizionato da un limite oggettivo, rappresentato dalle esigenze organizzative del datore di lavoro

8 Febbraio 2022Redazione Chiello PozzoliGiurisprudenza

Il Tribunale di Varese con Ordinanza n. 195 del 4.2.2022 ha rigettato il ricorso d’urgenza proposto da una dipendente (con qualifica di Collaboratrice Professionale Sanitaria – Infermiera di ruolo, Categoria D), avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di trasferimento presso una diversa Azienda Sanitaria Locale ai sensi dell’art. 33 della L. 104/92.

In particolare, il Tribunale ha ribadito che “il diritto al trasferimento ad altra sede del lavoratore non è un diritto assoluto, bensì un diritto condizionato da un limite oggettivo, rappresentato appunto dalle esigenze organizzative dell’amministrazione, in funzione di un’ottica di un bilanciamento tra interessi di diversa natura”.

Le ragioni sottese al diniego al trasferimento reso dal datore di lavoro sono state giudicate dal Tribunale di Varese come non “arbitrarie o puramente di stile, ma piuttosto concrete ed oggettive”. L’Azienda Ospedaliera di provenienza, infatti, ha specificamente indicato le “esigenze organizzative oggettive e impellenti” sottese al provvedimento di diniego reso, rappresentando innanzitutto che, alla data in cui la dipendente aveva formulato istanza di trasferimento ai sensi dell’art. 33 comma 5, L. n. 104/1992, “stava affrontando una recrudescenza della “seconda ondata” di ricoveri dovuti alla pandemia da Covid-19 che, a decorrere dal 12.10.2020, ha portato il totale dei posti letto occupati da malati da Covid-19 presso l’Ospedale a 650”. Sul punto, il datore di lavoro aveva altresì precisato il fatto che “i posti letto Covid” richiedono, rispetto ai posti letto ordinari, “un minutaggio di assistenza infermieristica doppio: si passa infatti da 120 minuti al giorno a 240 minuti al giorno”. Peraltro, il diniego al trasferimento teneva conto anche del vincolo di permanenza nella sede di prima destinazione di cui all’art. 35, comma 5 bis, del D. Lgs. n. 165/2001 (ai sensi del quale “i vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni”). Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto pienamente legittimo il diniego reso dall’Azienda Ospedaliera, con conseguente esclusione nel caso di specie del presupposto necessario del fumus boni iuris.

Infine, il Tribunale ha escluso anche la sussistenza del periculum in mora in quanto il verbale della Commissione medica con cui una parente della ricorrente “era stata riconosciuta portatrice di handicap in situazione di gravità ex art. 3, comma 3, L. n. 104/92 risale al 25 settembre 2019, ossia a ben 18 mesi prima dell’istanza di trasferimento formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 33, comma 5, L. n. 104/1992”. 

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Tag: coronavirus, trasferimento

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